giovedì 18 giugno 2015

Capitolo 8 - Patricia & Reika

Vicolo Buio – 18.00

La zona è circondata da un certo numero di agenti in divisa che stendono il nastro bicolore per delimitare la scena del crimine. Un'ambulanza poco distante attende che il coroner dia il suo ok allo spostamento del corpo. La CSI sta effettuando con pazienza i suoi rilevamenti. Nonostante il fatto si sia svolto in uno dei punti più difficili di Miami, sembrano essere particolarmente minuziosi, attenti.
Certo, capita spesso da quelle parti che ci siano crimini, anche efferati, ma che la CSI di Miami si impegni così tanto, è alquanto singolare.
Foto, raccolta di campioni, esame preliminare del corpo per stabilirne la morte in termini temporali: niente viene lasciato al caso. Nel contempo la Crime Squad sta procedendo alla raccolta delle testimonianze, anche se gli unici testimoni sembrano essere alcuni homeless, quei pochi che sono rimasti, dato che i più si sono defilati già da tempo.

Un'auto senza insegne si ferma appena fuori dal cerchio di vetture creato dalle auto della polizia dai lampeggianti accesi e ne escono due giovani donne, dall'aspetto piuttosto avvenente. Vestono in maniera abbastanza casual, come se fossero state a fare shopping sino a pochi minuti prima.
Beh, considerando quel paio di borse depositate sul sedile posteriore, forse un po' di shopping l'hanno fatto. Ma camminano con passo fermo, le lunghe gambe a calcare la breve folla che si assiepa lungo i nastri bicolore tesi a tenere alla larga tutti.

Tutti, ma non loro due. Al primo agente che prova a fermarle, una delle due estrae un distintivo e lo guarda con la classica aria del tipo “solo perché sono una donna pensi che non potrei esser qui? O andare dove devo andare?”. L'espressione dell'agente si corruga, le guarda e poi alza il nastro per agevolare la loro avanzata.
La seconda lo ringrazia, ma entrambe non si fermano per più di un istante e avanzano verso il punto in cui la CSI sta portando avanti i suoi rilievi. Un agente di una certa età va verso di loro e le saluta.

Santo cielo... addirittura gli Angeli.

La prima delle due, la più formosa delle due, lo saluta con un sorriso e indica quello che ha tentato di fermarle.

Patricia: Ciao Benjiamin. Novellino?
Benjiamin: Sì, Pat. Il ragazzo è al suo primo turno alla Crime Squad. Porta pazienza. Deve prendere il giro.
Patricia: Avevo immaginato. Cosa abbiamo qui?

Benjiamin si gira verso il corpo ancora riverso in una posizione innaturale.

Benjiamin: Un pestaggio, Pat. Sembra uno dei soliti. Stiamo cercando di raccogliere qualche informazione da quei barboni, gli unici testimoni. Ma poca roba, e poco credibile. Tutto nella norma.

L'altra ragazza, più esile di Patricia, ma altrettanto determinata, passa oltre i due e si dirige verso il corpo.

Patricia: Reika?
Reika: Non è un pestaggio come gli altri. O almeno non come tutti gli altri.

Avvicinatasi alla tecnica della CSI che sta facendo le foto, controlla il corpo senza toccarlo.

Reika: Come siamo messi, Annie?
Annie: Male. Nel senso che queste foto non mi faranno dormire stanotte. L'hanno ridotto a brandelli.
Reika: A mani nude?

Annie si alza in piedi, Reika la segue e le resta molto, molto vicino. La ragazza con la macchina fotografica abbassa gli occhi e resta per un attimo silenziosa. Poi risolleva i suoi occhi castani ad incrociare quelli di Reika, quasi ipnotici.

Annie: Non ho visto segni di arma da taglio, né da fuoco. Nemmeno da impatto, credo. Forse alcuni traumi sono da contatto con superfici qui intorno, ma devo ancora averne riscontro. Quindi... sì, direi a mani nude.
Reika: Grazie Annie. Attenderemo il referto autoptico. Non ti disturbiamo oltre.
Annie: Grazie a te, Rei. E se posso...
Reika: Dimmi.
Annie (a bassa voce): Prendetelo al più presto... mi fa paura.

La mano di Reika si solleva ad appggiarsi alla spalla della minuta tecnica di laboratorio e lancia una occhiata alla collega. Patricia coglie il cenno di assenso di Reika.

Patricia: Benjiamin, chi è il testimone migliore che abbiamo?
Benjiamin: Beh, veramente non abbiamo l'imbarazzo della scelta.
Patricia: Allora?

Benjiamin indica una donna homeless seduta su un marciapiede, con una infermiera che sembra tenerla tranquilla, ricoperta del telo tecnico utilizzato per mantenere stabile la temperatura corporea. Sta bevendo qualcosa da un bicchiere di plastica. Reika e Patricia si avvicinano a lei, accompagnati da Benjiamin.

Benjiamin: si chiama Claire, stiamo cercando di risalire al resto dei dati. Ma a cavarle fuori qualcosa di coerente (scuote la testa).
Patricia (rivolta all'infermiera): Può parlare? E' ferita?
Infermiera: Oh, no. Solo un profondo stato di shock. Da quel poco che ha farfugliato, la vittima l'ha aggredita, prima di essere ucciso.
Benjiamin: Forse un barbone ha preso l'iniziativa e ha deciso di fargliela pagare?

Patricia scuote la testa, guardando per un attimo il corpo raggomitolato come un sacco vuoto.

Patricia: Conosco homeless reduci dalle guerre moderne, ma nessuno, nemmeno i più psicotici arrivano a un tale grado di violenza.

Reika nel frattempo si è seduta accanto a Claire, che si volta a guardarla e prima che la poliziotta possa dire qualcosa, le parla.

Claire guarda Reika con sguardo folle e mormora

Claire: Era il Buio.
Reika: Chi era il Buio?
Claire: Era il Silenzio!
Reika: Chi era il Silenzio?
Claire: LUI!

L'infermiera aiuta Claire a bere un altro po' di liquido, una miscela di acqua, sali e Valium e scuote la testa, ma Reika ha bisogno di sapere.

Reika: Stai parlando dell'uomo che ha ucciso l'altro?

Claire annuisce, spalancando gli occhi.

Claire: Uscito dal Buio! Non ha detto una parola! Lui è il Silenzio!

Reika annuisce e allunga una mano ad accarezzare il volto di Claire e annuisce.

Reika: Calma, Claire. Vedrai, non tornerà più. Ora ti lascio con la signorina che ti aiuta, ok?

L'infermiera si china sulla barbona, mentre Reika si alza da terra, spolverandosi i jeans e guardando Patricia e Benjiamin

Benjiamin: Che vi dicevo? Niente.
Reika: Più di quanto potessimo sapere. E più di quanto sapessimo sino ad oggi.
Patricia: Già. Finora non avevamo mai avuto un testimone.
Benjiamin: Ma di cosa state parlando?
Reika: Benji, meno sai, per ora... meglio è.
Benjiamin: Beh? Ehi, non sono un novellino.
Patricia: Pensi che saremmo venute qui per una cosa simile?
Benjiamin: Uh... beh... insomma Pat... eddai...
Patricia: Benji, credimi. E' una cosa troppo grossa per essere condivisa con tutti, per ora.

Benjiamin, ventanni di onorato servizio, si gratta la testa e lancia una occhiata al corpo che viene caricato sulla barella per essere inviato alla Morgue. Inspira a fondo: gli Angeli di Jasper non sarebbero arrivate per una cosa da niente. Proprio no. Scuote la testa.

Benjiamin: Va bene, va bene, ho capito.
Reika: No, non hai capito. Nel rapporto... pestaggio tra bande rivali. Chiaro?
Benjiamin: Mi stai chiedendo di scrivere una fregnaccia simile?
Patricia: Un suggerimento.
Benjiamin: Seeee... ho già capito, vah!
Reika(sorride): Grazie Benji. Davvero, credimi... è meglio così.

Le due poliziotte tornano a dirigersi verso l'auto, superando nuovamente il nastro bicolore.
Una volta in auto, Patricia al posto di guida e Reika al posto del passeggero, per qualche istante restano a fissare la scena.

Patricia: E' lui.
Reika: Dobbiamo dire a Jasper che abbiamo un pericolo in città.
Patricia: Un Serial Killer?
Reika: Peggio. Le vittime non sono collegate tra loro. L'unico filo che le unisce è il modo in cui sono morte. Non si tratta di un semplice pestaggio a morte. Questo assassino, o assassina, non si limita a uccidere. Distrugge letteralmente il corpo della vittima, quasi lo volesse annichilire. Ma non lo brucia, per esempio: vuole che resti una traccia. Quindi lascia un messaggio.
Patricia: Insomma, un bel casino.
Reika: Non mi stupirei se fosse anche qui a guardare.

Patricia guarda i presenti, quelli che si appressano al nastro bicolore, i curiosi.

Patricia: Tu dici?
Reika: Dobbiamo farci dare le foto poi e inserirle nel sistema di riconoscimento facciale e iniziare i controlli incrociati.
Patricia: Riprendiamo anche le foto dei casi scorsi. Magari troviamo corrispondenze.
Reika: Buona idea. E ora andiamo a dare la pessima notizia al Capo.
Patricia: Maledizione...

La ragazza mette in moto l'auto e si avvia verso il comando della MDPD.




Chi sono quelle due agenti in borghese, così carine?
Mi sono guardato lo spettacolo, come un voyeur di terz'ordine. Ma a volte è divertente degradare.
Fino all'arrivo di quelle, due tutto nella norma, solita noia.
Mi bagno le labbra con la lingua e ne sento il gusto sapido.
Devo smetterla di prendere queste patatine fritte. Alla fine mi faranno male, lo so.
E devo scoprire chi sono quelle due.
Magari vado a trovarle, anche.
Va bene, spettacolo finito.
Andiamo.
§§§

DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.


I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.

mercoledì 17 giugno 2015

Capitolo 7 - Interludio

Vicolo Buio – 16.58

Puzzo.
Puzzo da far schifo.
Avvolto in abiti scambiati con un barbone del quale ho preso il posto tre giorni addietro. Abiti che sanno di alcool, sudore, piscio. Mi stanno stretti, un fastidio tra le chiappe che nemmeno un perizoma. Ma tanto non mi interessa. Questa è un'altra interessante esperienza, nel cuore nero di Miami.
Mi appoggio con la schiena al mio sacco nero dell'immondizia dove tengo gli averi del barbone. Poi glieli restituirò. Poi. Qualcosa mi preme alle costole e non mi affanno a tentare di capire cosa sia. Mi limito a muovere la schiena fino a che questa cosa si sposta e non mi dà più fastidio. Grugnisco, nel vicolo che anche a quest'ora è buio, tanto sono vicini i palazzi. Palazzi... abbandonati e diroccati alcuni. Incredibile come in una città metropolitana come Miami possa esserci un tale livello di degrado. Eppure è proprio lì che prolifera il peggio del peggio.
Sorrido, mentre mi gratto tra le gambe. Spero di riuscire a liberarmi dalle pulci, dopo.

Miami.

Arrivato per caso, di passaggio più probabilmente.
Ora sono ancora qui. Ho trovato un terreno fertile, per le mie passioni.
Soprattutto una certa facilità nel soddisfare i miei... vizi.
Ho fatto una prova, quasi per scherzo.
Ed ho praticamente ucciso un uomo in pieno giorno. Senza che nessuno mi disturbasse o mi infastidisse. Ah, Miami! Potrei innamorarmi di te, sai?

Claire mi fa un cenno di saluto. Io rispondo nella stessa maniera di Bob, il barbone del quale ho preso il posto e che ora se la sta spassando in una suite in albergo, a spese mie. Per il disturbo, è ovvio.
Claire è una brava ragazza: ha perso tutto nello scoppio della bolla speculativa nel 1998. Il marito l'ha lasciata, suo figlio è morto di overdose. Lei è andata via di brocca ed è diventata una delle tante homeless che si perdono nei meandri della Miami più cupa. Povera Claire.
Se non fosse che ha un bel sorriso, le avrei già alleviato le sofferenze.

Rumore di vetri rotti. Una bottiglia di birra gettata con violenza si è infranta contro il muro.
Proprio sopra la testa di Claire, che viene ignobilmente innaffiata dalla birra rimasta nella bottiglia.
Grida, la donna, mentre una figura si piega sopra di lei.
Eccolo.
Lui.

Mi chiedo se possa mai immaginare cosa sta per capitargli. Povero Aiden.
Aiden Bishop è il nome di questo giovanotto che si diverte ogni sacrosanto giorno a passare di qui a insultare e pigliare a botte tutti i barboni, fottendosene bellamente se siano uomini o donne. Anzi, se sono donne, sembra provare un gusto sadico a spaventarle e far loro del male.
Povero un cazzo.

Sento i suoi passi, mentre me ne sto raggomitolato nel mio pellicciotto, avvolto da tre sciarpe che pizzicano come l'inferno, il cappello di fustagno che mi sta calcato sulla fronte e mi fa sudare. Non sudo per il caldo, ma per l'attesa. L'Attesa.
Un momento magico nella quale la mente fa le prove, vivendo nella propria mente tutte le variabili di quello che potrebbe capitare, in un processo incomprensibile che crea dei film mostruosi. Che a volte non si attagliano alla realtà proprio per niente.

Inspiro a fondo, mentre sento la sua voce chioccia che mi apostrofa, come fa con Bob ogni sera. Si avvicina e parte con un calcio. Preparo i dorsali e mi ranicchio quel tanto che basta per riceverla appena sopra i reni, assorbendo il colpo ed evitando danni permanenti. Il dolore esplode sordo: il cappotto attutisce parzialmente il colpo, ma Aiden sa come si fa un pestaggio. Già me lo vedo mentre ritrae il piede con lo scarponcino, per portare il secondo colpo.

Colpo che non arriva a segno.

Mi rigiro su me stesso, rotolando di lato e portando il fronte su di lui. Il calcio mi arriva sugli addominali tesi e lo blocco con la mano destra. Non sto a guardare la sua faccia sorpresa, mi limito a sferrare un colpo deciso, preciso, all'interno del suo ginocchio destro, facendo in modo che le nocche della mia mano sinistra si piantino esattamente all'interno dell'articolazione, lì dove legamenti e menisco sono più esposti, trovandosi schiacciati violentemente tra il mio pugno e le sue ossa.

Gli sfugge un urlo, mentre cade a terra, impreparato. Sono tutti impreparati, sempre.
Mi alzo lentamente, mentre lui inizia a inveirmi contro, richiamando tutte le donne della mia famiglia con epiteti non proprio urbani. Mentre mi libero dagli abiti di Bob che mi rallentano, Aiden si alza, zoppicando e chiedendomi chi sia e cosa voglia da lui. Io mi limito a non rispondere e a portare il primo colpo al volto, colpo che non porto a segno, ma gli fa alzare la guardia.
Nel passo avanti che faccio per arrivare a lui, mi genufletto e con la mano destra a pugno, ripeto il trattamento di prima all'altro interno ginocchio, imprimendo molta più forza, dato che mi trovo in posizione utile allo scopo. Prima ero a terra, che pretendere?

Sento distintamente sotto le nocche qualcosa stracciarsi e l'ululato di Aiden che cade in ginocchio mi conferma che i legamenti sono andati. Peccato per lui che l'uluato si interrompa sul mio ginocchio sinistro che, mentre lui scende in ginocchio, si solleva mentre mi rialzo dalla genuflessione. Si incontrano a metà strada e la sua testa scatta indietro. Accompagno il colpo, in modo che il suo collo sia scoperto quando si stacca dal mio ginocchio.
La mia mano aperta a L scende rapida, un colpo secco all'altezza del pomo d'adamo.

Un rantolo secco è la risposta, mentre le sue mani istintivamente salgono alla gola ormai compromessa. L'ho colpito quel tanto che basta per impedirgli di respirare per qualche secondo, non per ucciderlo. Altrimenti sarebbe già a terra, cianotico.
No, voglio che si goda per intero il trattamento.
Ora che ha le mani sollevate e praticamente impatta con la schiena sulla strada del vicolo, mi ergo su di lui e gli sferro un calcio di punta all'altezza del fianco destro, in quella parte molle che ospita la milza e non lesino in forza: la punta del mio anfibio gli entra per bene nel fianco. Il suo corpo si contorce, ranicchiandosi a proteggere la parte appena offesa, cosa che lascia scoperto l'altro fianco. Il mio calcagno ripete il trattamento, sul fianco sinistro, cercando di lesionare il fegato all'interno.

Torna a respirare e inizia ad implorare. Sembra ora comprendere cosa significhi subire un pestaggio.
Peccato che oggi non abbia nessun impegno. Peccato che il suo sorriso non sia come quello della cara Claire. Quindi procedo con l'operazione senza anestesia.

Si mette carponi, cosa che mi facilita prenderlo per i capelli, tirando senza farmi problemi sul suo continuo rantolare urlante. Sento le sue mani che afferrano la mia, ma dovrebbe preoccuparsi di altro. Infatti l'altra mia mano cala con precisione all'altezza dell'ultima vertebra lombare e la prima sacrale. Uno, due, tre, quattro cinque colpi, fino a che sento qualcosa cedere e Aiden inizia a piangere, implorando di smettere... dice di non sentire più le gambe. Lo lascio ricadere a terra e inizia a strisciare, passando tra i barboni che non fanno nulla per aiutarlo.

Mi guardano strano, non riescono a capire se io sia un angelo salvatore... o un demone punitore.
Non capiscono la mia violenza. Non possono realizzare il legame tra questa violenza estrema e il bersaglio che mi sono scelto. Se fosse per la violenza, mi fuggirebbero. Ma se tale violenza è applicata a un uomo che li ha vessati per settimane... allora va bene, vero?
Scuoto la testa, mentre seguo con calma Aiden e la sua inutile fuga. Mi chino, gli afferro una mano e gliela chiudo a pugno. Volta la testa, giusto in tempo per vedere il mio ginocchio calare con violenza sulla sua mano. Il crack delle ossa delle dita che si spezzano tra asfalto e ginocchio fa da eco al suo urlo disumano, reso ancora più lacerante dalla gola lesionata dal colpo di prima. Alzo la mano, con le dita che ormai si anneriscono per le emorraggie interne e mi alzo in piedi, tirandolo a me, il suo braccio.

Ti prego... basta...

La mia risposta è una violenta torsione contraria alla articolazione del braccio, cosa che gli porta a una iniziale lussazione: posso quasi vedere la sua spalla uscire di posto, tenuta al corpo unicamente da carne, muscolo e pelle.
Mi chino su di lui e lo afferro al colletto, mentre lui con l'ultimo braccio buono rimastogli mi afferra al collo, tentando di fermarmi. Irrigidisco il collo, ma non serve: non ha forze bastevoli nemmeno per lasciarmi una ecchimosi. Per sovrappiù, lo sbatto un paio di volte contro un muro, la seconda proprio contro uno spigolo. Inizio a provarci gusto, anche perché fisicamente Aiden non è proprio un peso massimo. Quindi ci metto poco ad incrinargli qualche costola dorsale.
Sta diventando un sacco vuoto, non reagisce quasi più.

Non sopporto quando fanno così. Cercano di fare le vittime. Loro.
Ma dimenticano una cosa...

Vittime... non lo siamo tutti?

Tiro indietro il braccio sinistro, carico il colpo mentre con il destro lo tengo schiacciato al muro. Alza gli occhi su di me, per l'ultima volta, anche se ancora non lo sa. Vedo che si sta chiedendo chi io sia, perché gli stia facendo questo, perché è capitato proprio a lui.
Domande.
Inutili.

Il mio braccio sinistro scatta, la mano aperta con le dita raccolte ad artiglio di tigre. Il colpo andrà dal basso in alto e il fondo del mio palmo impatta con il setto nasale di Aiden. Non mi fermo, imprimo la forza massima e spingo, spingo, spingo sino a che non sento il setto nasale inserirsi profondamente nel cervello di Aiden, attraverso il foro che si trova tra i seni frontali.
I suoi occhi si rovesciano all'indietro e in un secondo il suo corpo perde ogni sentore di vita.
Sto tenendo in mano un sacco di carne inanime.

Lo mollo, guardandolo raccogliersi a terra in una posa alquanto grottesca.
Devo cercare qualche diversivo più... impegnativo.
E devo avvertire il Direttore del Miami Journal.
Così avrà da divertirsi.
Lui e la sua amica, la Direttrice Sanitaria.
Poi farà visita a quel giovane patologo... l'arabo.
Magari anche a quella stronzetta con la puzza sotto il naso della psicologa.
Poi, chi altri?

Faccio un cenno di saluto ai ragazzi e mando un bacio volante a Claire, annichilita nel suo mucchio di immondizia. Forse sono stato troppo... ho esagerato. Pazienza. Se non le tornerà il sorriso, ci penserò io, a lei.

Ora devo andare a recuperare Bob e rimetterlo al suo posto.

E io al mio.

§§§

DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.


I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.

martedì 16 giugno 2015

Capitolo 6 - Alexander & Miguel

 Night Club Cristal – Priveè / Black Suite – Ore 12.35

Una nuvola di fumo.
Volute evanescenti nella penombra di un corridoio imbottito con un arredamento alquanto discutibile, Ma non è fatto per essere elegante, solo un passaggio verso stanze ben più interessanti.

Una nuvola di fumo.
Braci di una sigaretta che si illuminano nel buio con intermittenze irregolari ed illuminano un volto affilato, con grandi occhi socchiusi per il fumo, una barba di tre giorni, il capo reclinato leggermente sulla sinsitra, come se stesse ascoltando qualcosa. Un fisico dinoccolato, di una età indefinibile compresa tra i quaranta e i cinquanta, una camicia azzurra e un paio di jeans, sneaker piuttosto usurate.

Una nuvola di fumo.
Passi felpati su un pavimento di moquette lisa in alcuni punti, ma a chi interessa, quando gli occhi dei clienti sono sempre puntati su altro, quando salgono a questo piano? Lui ne coglie i particolari. Ma lui è lui.

Una nuvola di fumo.
Si ferma davanti a una porta imbottita. Avete presente quella classica con quei bottoni grossi un pollice che segnano rombi su una superficie in pelle sintetica rossiccia? Quella. Non sta nemmeno a bussare o suonare il campanello d'avviso. La luce sopra la stanza ne indica il fatto che sia occupata. Ma lui questo lo sa già.

Una nuvola di fumo.
Estrae una tessera magnetica, un passepartout che gli permette di entrare in quasi tutte le stanze del Club.Scatta il meccanismo della serratura e spalanca la porta, addentrandosi in un ambiente ancora più scuro, dove pochissime luci fioche illuminano appena appena, rendendo veramente difficile distinguere i contorni del mobilio o la semplice disposizione della stanza.
Ma lui non ha bisogno di vedere. La conosce a memoria. E' per questo che prende la sigaretta ormai quasi terminata tra le dita della mano destra e la abbassa, portandola a spegnersi dentro un posacenere posto su un mobiletto appena entrati dalla porta.
Annusa e l'odore di sesso gli arriva alle nari con una potenza pregnante. I suoi sensi vengono letteralmente attizzati, esplodono di sensazioni latenti in quella stanza come se ne fosse stata non solo impregnata, ma letteralmente intrisa. Come se trasudasse dalle pareti stesse. Con un gesto calcolato, porta la mano destra nella tasca dei jeans a prendere il pacchetto di sigarette e se ne accende un'altra. Per un attimo nel buio un tenue bagliore fende le tenebre, illuminando un letto a baldacchino sul quale si muove una figura mostruosa, fatta di troppe mani, troppi piedi, troppe teste.
Troppo tutto.

Una nuvola di fumo.
Siede su una delle comode poltrone imbottite dall'alto schienale, messa molto accortamente per un eventuale voyeur che vuole godersi lo spettacolo che eventualmente si svolgesse su quel letto. Si sa, certi clienti hanno gusti e necessità particolari. C'è chi si eccita copulando... e chi guardando. Non è il suo caso, ma la posizione che ora occupa gli è molto comoda. Estrae la sigaretta dalla bocca con gesto elegante, inspirando nuovamente l'odore di sesso che ora si è fatto più forte, quell'insieme di sudore, umori, feromoni, testosterone, ma elevato all'ennesima potenza. Poi le sue labbra si aprono:

Mi Hermano...

Nel silenzio si sente qualche gemito, qualche ansito, qualche sospiro sommesso, poi la massa mostruosa che giace sul letto inizia a muoversi, deforme. Una tenue luce si accende nel soffitto, illuminando con un cono impercettibile una figura che emerge da quella massa informe. Un corpo muscoloso, ricoperto da una congerie di tatuaggi complessi, multicolori e che disegnano storie ed incubi. Emerge lentamente, divincolandosi quasi da quell'intreccio di corpi, che ora diviene più definito alla luce del soffitto. Lunghi capelli spettinati, su un volto ancora deformato da una espressione di bestiale e ferina lussuria. Gli occhi brillano per un istante ancora del rosso fuoco della passione, mentre la lunga lingua si deterge il volto dal mento al naso, gustando il primordiale aroma degli umori del sesso. Si passa la mano sinistra sul volto, come a volerselo liberare da capelli rimasti impigliati nelle maglie della sua insaziabile fame.

Alexander, hermano... cosa ti porta qui?

L'altro sorride nella penombra, mentre la brace della sigaretta gli illumina il volto.

Alexander: Miguelito mio, hai finito?

Miguel guarda la massa di corpi attorno a sé: un insieme piuttosto convulso di corpi femminili, in vari stati di incoscienza. Difficile comprendere esattamente il numero di ragazze coinvolte in quella orgia di fisici perfetti e sconvolti da una dose di sesso troppo potente per loro.

Miguel: Mi sa che abbiamo esagerato.
Alexander: Speriamo nessun danno... definitivo.
Miguel: Mi pare di no. Vuoi favorire? Forse una o due sono ancora pronte per un nuovo giro di giostra. Te le sveglio?
Alexander: No, fratello. Tu hai scelto di diventare l'Erede della Lussuria. Sai che io prediligo la Via del Dolore.
Miguel: Lo so, fratello. Ma una scopata ogni tanto non rovina i tuoi piani, no?
Alexander: Non temere per me. So cavarmela perfettamente.

Miguel ride, mentre si solleva dal groviglio di corpi, completamente nudo e discende dal letto, avvicinandosi al suo compagno di avventure, nonché Vicedirettore al Night Club.

Miguel: Cosa ti porta alla mia... corte? (ride)
Alexander: Girano voci, fratello. E volevo essere sicuro che la cosa non ci interessasse... direttamente.
Miguel: Voci, hermano? Ovvero?
Alexander: E' stato trovato un corpo di un giovane, orribilmente pestato a sangue. Non chiedermi come lo so. Ma le voci girano. Ebbene, sembra non sia il primo. Sembra che qualcosa di una forza smisurata l'abbia quasi ridotto in poltiglia.
Miguel: E allora? Posto sbagliato, momento sbagliato con avversario sbagliato. Capita, a Miami.
Alexander: Non in questo caso. La forza impiegata sembra... disumana.

L'Incubus tatuato osserva ora nella penombra il volto illuminato dalla sigaretta dell'altro Incubus. Si tira indietro i capelli con entrambe le mani, gonfiando il petto.

Miguel: Pensi che potrei essere stato io?
Alexander: Conosco poche persone a Miami in grado di ridurre così un uomo. Volevo solo essere sicuro che noi non c'entrassimo. Sai che non mi occupo dei tuoi affari personali. Ma vorrei anche che al Club non arrivassero problemi.
Miguel: Hermano, non hai nulla da temere. Non ho pestato nessuno ultimamente, almeno non al punto da ucciderlo. Magari qualche menomazione. Ma niente più. Tu mi par di capire che non sei stato. Quindi siamo a posto.

Allarga le braccia, con fare convinto. Alexander si alza dalla poltrona del guardone e aspira una profonda tirata di sigaretta. Miguel lo guarda, aggrottando la fronte.

Miguel: Senti, si può sapere perchè ti interesa tanto? Il Club non ha nulla da temere. Cosa ti rompe le palle, me lo dici?

Alexander si dirige verso la porta, appoggia la mano sulla maniglia della porta e, prima di aprirla, volta la testa verso Miguel, con uno sguardo micidiale stampato sul volto.

Alexander: Mi interessa perchè a Miami c'è qualcuno, o qualcosa, che può rivaleggiare con me in quanto a ferocia, violenza... e soprattutto capacità di provocare dolore in maniera sistematica, meditata e metodica.
Miguel: Un concorrente? (ride)
Alexander: Non riderei, se fossi in te.
Miguel: Hey, hermano... stavo scherzando!
Alexander (sorride): Lo so, hermano... lo so. Ma per me non è uno scherzo.

Detto questo, apre la porta ed esce, richiudendola dietro di sé.

Per qualche istante resta solo nel corridoio vuoto, inspirando a fondo nuovamente la sigaretta.

Una nuvola di fumo.

§§§

DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.


I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.

Capitolo 5 - Andraste

Fitto del Bosco – Ore 10,23

Il bosco stamane è un luogo insolitamente silenzioso. Il rumore della pioggia che lenta cade lungo le fronde degli alberi è l'unico che raggiunge l'udito di Andraste. Sola, cammina a piedi scalzi lungo i sentieri del bosco, l'unico luogo dove può lasciare completamente le vesti di Alexandra Stuart ed essere ciò che è: Andraste, la più potente maga residente in Miami.



La veste che indossa è di una semplicità unica: leggera, nera, due sottili spalline, ricade lungo il suo corpo disegnandone le forme, sino quasi alle caviglie. La pioggia che le fa aderire la veste al corpo non le dà fastidio: la Comunione con la Natura è un elemento imprescindibile alla sua natura interiore.

Quello che rovina questo quadretto è il perché si trovi in questo luogo, invece di dedicarsi alle sue incombenze quotidiane. Una notte quasi insonne per il continuo intervento degli Spiriti, che l'hanno praticamente buttata già dal letto e fatta giungere sin qui con una serie di segni di non sempre facile comprensione.

Togliere il sonno ad Andraste è uno dei peggiori crimini, per i quali potrebbe anche arrivare ad uccidere, per così dire. Ma agli Spiriti inviati dalla Madre non si dice di no, non quando si è scelto di essere ciò che si è.

Quindi ecco i suoi piedi scalzi calcare il terreno ormai umido, del sottobosco, diretta dove l'ultimo segno le ha indicato. Una piccola radura, sepolta nel profondo del bosco. Lì non si vedono altri segni, quindi ferma il suo incedere. Sopra di lei, le fronde si aprono creando un occhio sul cielo plumbeo, dal quale cadono lente, grosse, cosanti gocce d'acqua. Apre i palmi delle mani rivolti in alto, davanti a sé, a raccoglierne quanto basta per farsi un sorso di acqua piovana.

Cerca di capire, perché si trovi qui. Poi l'attenzione si sposta su una curiosa disposizione degli alberi: alberi che per dimensioni dei tronchi sono sicuramente antichi, forse quelli più antichi della foresta. Ma soprattutto... in corrispondenza della corteccia che guarda al centro della radura, nodi e imperfezioni del legno creano la figura di un volto scolpito.

Andraste: Un Tor...

Gira sul posto, in modo da controllare ed effettivamente tutti gli alberi sono dotati di volto, tutti puntano al centro della radura ove lei si trova. Inspira a fondo, concentrandosi, socchiudendo gli occhi e cercando la Comunione con la Madre. Ma tale concentrazione non arriva a buon fine. Nella pioggia che cade pesante, dal profondo del bosco, esternamente al cerchio formato dagli alberi, un potente crepitare e poi una fiamma erompe nel Tor. Una fiamma rovente, rosso incandescente, difficile guardarla direttamente. Giunge e salta entro il Tor come una serpe impazzita, percorrendone l'intera circonferenza, lasciando dietro di sé l'eco delle sue fiamme, che però non scatenano alcun incendio. Si muove a una velocità terrificante e Andraste si trova quasi a provare una vertigine per riuscire a seguirne i movimenti. I cerchi creati dal serpente di fuoco si restringono progressivamente, andando a disegnare ora una spirale, al centro della quale Andraste si trova immersa. L'aria resa rovente dalle fiamme, sale verso l'alto, sollevando la rossa chioma della maga.
Non prova paura, il suo Spirito di Fuoco interiore plaude a questa apparizione, ne sente l'affinità, anche se tenta di comprendere inutilmente.
Solleva le mani, con i palmi in alto, come a voler innalzare una invocazione.
Invocazione silenziosa che viene ascoltata, probabilmente, perché il Serpente di Fuoco conclude la sua spirale, balzando in aria e piombando fragorosamente con rumore di tuono sul terreno davanti ad Andraste, che ora si trova a fronteggiare un serpente infuocato che si avvolge nelle proprie spire restando fermo sul posto, con la testa eretta e le fauci spalancate. Occhi di Rubino di Fiamma la fissano...

Spirito di Fuoco: Figlia...
Andraste: Padre...
Spirito di Fuoco: la Casa è in pericolo. L'Oscurità è giunta.
Andraste: L'Oscurità risiede da tempo in città.

Un sibilo lacerante esce dalle fauci infuocate.

Spirito di Fuoco: L'Equilibrio è rotto, Figlia.
Andraste: Non è possibile... non l'ho percepito.
Spirito di Fuoco: Ora sai. Non aver percepito è segno della Minaccia.
Andraste: Cosa devo fare.
Spirito di Fuoco: Scegli. Salva te stessa e lascia la Casa. O confrontati con la Minaccia.

Il Serpente di Fuoco si inarca sulle proprie spire e con una esplosione di scintille che investe Andraste, letteralmente svanisce.

La Maga socchiude gli occhi, mentre la pioggia torna a cadere su di sé.
I presagi degli Spiriti sono sempre così enigmatici. Ma ci ha fatto il callo.
Andraste è ciò che è e non sarà certo questa Minaccia a metterla in difficoltà.

Lei è e resta la più potente maga di Miami.
E non abbandonerà la Casa.
Mai.

§§§

DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.


I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.

mercoledì 10 giugno 2015

Capitolo 4 - Hassan & Evie

Miami Medical Center – Morgue, 09,00 AM

Odore di morte. Odore di antisettico. Luci fredde, pareti fredde. Aria ferma, un ronzio di fondo e nulla più. Il respiro profondo e regolare di un giovane dottore, ricoperto da un camice e con la testa coperta da una cuffia operatoria. Tiene in mano una cartella aperta, leggendone il contenuto. La carnagione scura, i tratti del volto mediorentali, una fisicità importante: quei quasi due metri di fisico non passano inosservati. Eppure i tratti del volto, ora corrugati nella lettura concentrata, sembrano ispirare fiducia, un animo benevolo.

Per il Profeta...mormora a mezza voce. Non è un praticante, ma anni di cultura islamica lasciano comunque il segno. Porta una mano alla bocca, a metà tra i disgusto e la riflessione.

Poi alza la testa, annusando l'aria che ora non è più così asettica. Un odore strano si è insinuato nella sala delle autopsie. Ma non è possibile!

In quel momento si aprono le porte della morgue che lui solo occupa in questo momento e il rumore di un paio di tacchi sottili e alti annunciano l'arrivo dell'altera figura della Dott.ssa Evie Bochamp.
Tra le sue labbra, una sigaretta che sta finendo.
Lo sguardo critico di Hassan la segue, ma lei sembra non dolersene troppo.

Mio carissimo Hassan...cinguetta Evie, mentre spegne ciò che resta nella sigaretta in un bicchiere pieno a mezzo di acqua.

Lui la guarda di sbieco, chiudendo la cartellina, la appoggia al ventre, tenendola con le mani giunte.

Hassan: A cosa devo il piacere?
Evie: Hanno buttato giù dal letto anche te?
Hassan: Più o meno. Ripeto, a cosa devo il piacere?

Evie gli gira attorno, apprezzando sicuramente quel fisico. Hassan, a dispetto della posizione che occupa all'MMC, è un giovane prestante e che farà sicuramente carriera. Evie sembra il tipo da apprezzare entrambe le cose.

Evie: Rilassati, dottore. La Direttrice mi ha convocato stamattina presto, con la richiesta di venire a visionare un caso arrivato stanotte. Piuttosto, trovo strano trovare te, no? Di solito non te ne occupi.

Hassan le tende la cartellina, mentre si a avvicina a uno dei loculi frigo dove vengono tenuti i corpi in attesa di autopsia o sul quale è già stata effettuata. Nel loro caso, l'anatomopatologo capo ha già operato in tal senso...

Hassan: Jamye mi ha chiamato stamattina, sul presto. Vuole che io visioni la cartella, il corpo e poi le dia una Second Opinion. Mi sfugge il tuo intervento.

Evie rotea gli occhi al cielo.

Evie: Hassan, ma che hai? Hai staccato dal turno di notte e non hai dormito abbastanza? Oppure non ti sei fatto una bella scopata? Guarda che... possiamo risolvere.

Si diverte, la giovane dottoressa, a stuzzicarlo. Hassan scuote la testa, mentre sblocca il portello e lo apre. Il freddo esce e poi, con un rumore di rulli, esce anche il lettino sui pistoncini automatici. Su di esso, il corpo freddo di Adam Kurtis. Sul suo petto, la Y della autopsia è ben evidente. Evie inarca il sopracciglio destro, mentre picchetta con la punta della scarpa sul pavimento.

Hassan: Ecco il nostro eroe.
Evie: Belloccio... ma c'è di meglio. E comunque, Jamye mi ha chiesto una valutazione psicologica sull'eventuale assassino, qualora ce ne fosse uno. Direi di escludere il suicidio, che dici?

Il dottore osserva con attenzione il corpo. Per il momento non ha intenzione di effettuare una seconda autopsia, dato che non ha ancora avuto modo di controllare la prima e non vuole offendere il capo del reparto. Ma ai suoi occhi attenti, non sfuggono alcuni particolari. Indossa i guanti, iniziando un esame per palpazione del corpo, che seppur soggetto agli stadi del decadimento cellulare, è ancora relativamente “fresco”. Evie apre la cartella iniziando a dare una occhiata, passandosi la lingua sulle labbra. Man mano che legge, il suo volto passa da un iniziale stupore, a una certa incredulità e poi deglutisce a vuoto. Non è una tenerina, ne ha sentito di ogni tipo nella sua attività, ma questo...

Evie: Si può davvero ridurre un corpo umano in questo stato?

Hassan, partito dai piedi, sta risalendo lentamente lungo le gambe e annuisce.

Hassan: Il corpo umano è fatto per resistere, sostanzialmente, al maggior numero di sollecitazioni possibili. A meno di un trauma importante agli organi vitali che portano allo svenimento, ovvero allo spegnimento conservativo delle funzioni vitali da parte del cervello, un corpo può sopportare un numero considerevole di danni, prima di morire.

Evie annuisce, ricordando quel poco che ha studiato nei corsi comuni di Medicina.

Hassan: Ma qui andiamo oltre quello che mi sia mai capitato di vedere. Non sono un esperto come il Dott. Parson, ma qui siamo davanti a un lavoro... metodico. Questo poveraccio è stato letteralmente ucciso a botte. Non vedo segni di armi da taglio, né ferite da arma da fuoco. Ma ci sono chiari segni di impatto da schiacciamento, le ecchimosi sono numerosissime, dove sono stati provocati traumi interni.

Evie gira attorno al lettino, mentre Hassan conclude il suo esame per palpazione. Si solleva dal corpo.

Hassan: Hai visto quello che ti interessava?
Evie: Anche troppo, per i miei gusti. Preferisco tornare a guardare un uomo... vivo.

Lo guarda, sembra non si stanchi mai di guardare quell'appetitoso dottorino.
Lui si sfila con uno schiocco di due guanti in lattice e richiude il lettino dentro il frigo.
Si avvicina alla scrivania, dove prende posto, seguito da Evie che gli si siede di fronte, accavallando le gambe. Il camice le si apre, volutamente, a mostrare le gambe, nude. Hassan fa un sospiro: Evie è tremenda, quando ci si mette.

Evie: Quindi, Hassan... cosa ne dici? Sono curiosa.
Hassan: Ho contato una dozzina di fratture agli arti. Alcune ossa piccole sono state spezzate addirittura in due. Ha evidenti segni di colpi alle giunture, le cartilagini praticamente saranno state sbriciolate. Costole incrinate, un paio rotte. Sia pettorali che dorsali. Una dislocazione di una vertreba lombare, probabilmente al termine del pestaggio, gli ha tolto ogni sensibilità alle gambe, che peraltro dovevano essere già ridotte male. Le mani sono completamente blu: gli ha spezzato tutte le dita e deve avergli calpestato il metacarpo sino a fratturare definitivamente gli ossicini. Spalle lussate, come se fossero state torte con violenza sino a farle uscire. Praticamente se le ha ancora attaccate è solo grazie alle cuffie del rotatore e alla pelle, ma sono completamente disarticolate. Quando al volto... la mascella è stata letteralmente dislocata a forza: gli epicondili sono... tranciati. Zigomi infossati nel cranio, arcate soppracigliari incrinate. Il setto nasale è stato spinto sino al cervello con un colpo dal basso, mancano denti. E tutto questo... non ho avuto modo di controllare i danni interni. Ma penso che, come ha scritto Parson, troverò un frullato.
Evie: Insomma, un pestaggio vero e proprio.
Hassan: Un pestaggio, Evie, non arriva a un simile macello.

La psicologa sembra valutare le informazioni. Quelle della cartella, le parole di Hassan. Inizia a farsi una idea e Hassan sembra accorgersene. La guarda.

Hassan: Tocca a te, Dottoressa Bochamp. Cosa ne pensi?
Evie: Hai ragione tu. Qui non siamo di fronte a un semplice pestaggio. Qui siamo di fronte al lavoro di un esperto (scorrendo i dati della cartella con un dito). I danni sono troppi e troppo estesi, c'è della partecipazione in questo quadro. Come se l'assassino fosse coinvolto nella cosa. Forse lo conosceva e questo gli aveva fatto qualcosa. Vendetta, forse. Ma il grado di violenza è troppo elevato e preciso per appartenere a uno che ha perso la testa. No, qui siamo davanti a uno che non solo se ne intende, ma lo ha fatto più volte.
Hassan: Quindi dobbiamo solo sperare che lo prendano o che non sia un serial killer?
Evie: Io vorrei sperare di non incontrarlo mai.

Non è una che si fa mettere paura facilmente Evie. Ma davanti a quello scempio...

Hassan si appoggia allo schienale della poltroncina, guardandola. Conosce di fama la dottoressa, non così bene, ma sicuramente al punto da capirne le parole e soprattutto fidarsi della sua opinione qualificata. Alza gli occhi al soffitto, guardando i neon accesi.

Hassan: Resti qui, finchè stilo il preliminare della Second Opinion?
Evie: Mi sono liberata apposta. Ti spiace se inseriamo la mia Opinion nella tua? La mettiamo alla fine e ci risparmiamo un paio di cartelle in più.
Hassan: Solo se vai a prendere un buon caffè per entrambi.

Evie sorride, si alza, gli si mette alle spalle, chinandosi su di lui, sino ad appoggiargli quasi le labbra all'orecchio.

Evie: Solo... perché... me l'hai chiesto... tu...

Poi si solleva e, ticchettando, si dirige al piano superiore a prendere il caffè per entrambi.

Hassan si toglie la cuffia e si sbottona un bottone del camice.
Sarà pure alla Morgue.
Ma di sicuro gli è venuto un caldo...

§§§

DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.



I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.

domenica 31 maggio 2015

Capitolo 3 - Cybele

Casinò Black Gloves – Uffici Privati, Ore 02,40 AM

E' un'onda rovente, una scossa nelle vene, una luce abbacinante nel buio, un fischio di treno nelle orecchie, il rombo di un temporale che monta impetuoso, uno tsunami che incombe e finalmente si infrange.
Si solleva il volto di Cybele dal suo pasto notturno, il viso rigato dagli schizzi di sangue usciti dalla giugulare pulsante, dalla femorale squarciata, dalla brachiale incisa in più punti. Ma è solo un istante e torna ad immergersi in quel viaggio allucinante che si concede da una, cento, mille notti e più, ormai. Il battito del cuore della vittima che dapprima accelera e poi rallenta piano piano, una melodia che nessun compositore potrebbe mai scrivere. Il fluire dei pensieri impresso inedelebilmente nel sangue porta nella mente un carico di emozioni e senszioni che non hanno pari, se non nella intima soddisfazione di nutrirsi della Vitae.
Ci sono momenti nei quali Cybele si nutre con la soavità di un angelo decaduto, di una vestale delle Tenebre appena investita dal Dio della Notte, con la verginea innocenza del Primo Risveglio.
Ci sono notti, invece, nelle quali Cybele si lascia condurre dalla Bestia che "entro le ruge". Una cavalcata feroce, su un cavallo impazzito con sei zampe e fiamme dalle froge, una coda sferzante di scorpione e zanne di tigre. E' in queste notti che la sua camera dei giochi si trasforma in un mattatoio.

Una camera insonorizzata, raggiungibile solamente tramite un corridoio segreto che lei conosce, lei e i suoi ghoul asserviti che le sono fedeli alla morte, pur di poter continuare a sorbire stille del suo sangue e mantenere il loro potere... e giovinezza.
Infine l'orgasmo della Sete si placa, la Sacca è piena, la Bestia è sazia. Cybele, nuda e ricoperta unicamente dei suoi tatuaggi e del sangue, si alza in piedi, portando il braccio destro davanti alle labbra, leccando come una felinea fiera ciò che rimane di lui, il povero dandy, che pensava di trovare una semplice vittima da sedurre, ne è stato sedotto e ne ha pagato il prezzo più alto, per un mortale.
Un segnale luminoso rosso si accende, sopra la porta blindata chiusa dall'interno.
I suoi occhi vengono percorsi da un lampo omicida: CHI OSA DISTURBARE IL MIO PASTO?

Si avvicina a una parete, dove sa essere la porta a scomparsa che diventa indistinguibile una volta serrata. Tocca un pannello, compone un codice di sedici cifre a memoria. La porta si delinea, scorre dapprima in avanti, verso di lei, su invisibili rotaie, rivelando uno spessore di venti centimetri di acciaio e cemento, con una intercapedine in schiuma ignifuga. Poi la porta scorre lateralmente, rivelando un corridoio illuminato da luci rosse. Sul limitare della porta, due ghoul, uno dei quali ha un cellulare in mano.

Cybele: Che cazzo succede? Devono scorticarvi come l'ultima volta?

Ghoul: Padrona, è urgente. Problemi. Grossi e tanti.

Le mostra il cellulare, con almeno tre chiamate in attesa. Cybele sbuffa, ovvero imita uno sbuffo, quella reminescenza che a volte piglia i Vampiri nel ricordare antiche abitudini mortali. Si sposta verso una piccola toilette attrezzatissima, dove si lava dapprima le mani e il viso, poi fa un cenno che le venga dato il cellulare. Il Ghoul glielo piazza in mano e lei lancia un ordine reciso.

Cybele: Fate pulizia. Ora. E sparite!

"Fare Pulizia"... i due Ghoul prendono il corpo dissanguato del dandy e si eclissano dalla stanza, dopo averlo avvolto in un sacco nero. Lo porteranno all'inceneritore nascosto nei sotterranei, per poi tornare sù a ripulire il macello e rendere la stanza pronta ad accogliere il prossimo pasto della Padrona.

Cybele guarda schifata il cellulare, cogliendo al volo i tre contatti in attesa, valutando chi selezionare prima. Va bene, tanto prima o poi...

Cybele: Boris!

Una voce in russo spinto le risponde, deformata dal microfono del cellulare.

Cybele: Primo.. Boris comprati un cazzo di telefono che funzioni... Secondo, cosa hanno fatto? Tutte le BISCHE? Aspetta in linea...

Cybele commuta la chiata sulla seconda in attesa.

Cybele: Hernan?

Una voce in cubano risponde concitata, sparando numeri e luoghi.

Cybele: Ma porca puttana! Che diavolo sta succedendo? Stai in linea, Hernan...

Nuovamente un cambio linea.

Cybele: Giuliano... almeno tu, non darmi cattive notizie. Cosa?

Una voce con accento italiano molto pacata spiega alcune cose.
Stavolta Cybele non risponde nemmeno. Semplicemente chiude la linea e quasi stritola il cellulare nella mano: la forza senza controllo di un Vampiro è mostruosa, soprattutto di notte. Appoggia il cellulare salvo per miracolo e apre l'acqua della doccia, per liberarsi del sangue rappreso che ancora la adorna.
Mentre si introduce nella doccia, un ruggito soffocato gli sfugge dalle labbra:


Cybele: Stavolta Jasper me la paga! Oh, se me la paga!

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DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.



I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.

giovedì 28 maggio 2015

Capitolo 2 - Sebastian & Jamye

Hospital Miami - Esterno, Ore 02,10 AM

Il taxi si ferma fuori dal comprensorio dell'ospedale più importante di Miami, dove si concentrano non solo il maggior numero di casi clinici e di emergenza, ma soprattutto l'eccellenza delle competenze mediche della città. E' uno dei posti di Miami dove non si dorme mai, per ovvii motivi.
Ma non è mai banale il perchè.

Sebastian si sistema la giacca ormai stazzonata da più di 16 ore di lavoro e si strizza con pollice e indice della mano destra gli occhi, in corrispondenza del naso. Inspira a fondo, rinsalda la presa sul tascapane ormai vecchio di anni. E' il suo primo tascapane da giornalista, quello con cui ha cominciato. Non l'ha mai gettato, l'ha tenuto per le pratiche personali. Fa un certo freschetto, nonostante la stagione, stanotte. Cammina lungo i viali illuminati e sempre pieni di gente che viene e che va. La sua mente, stanca, cerca di riorganizzare le idee. Con passo sempre sostenuto percorre un paio di tratti in salita: il comprensorio dell'ospedale è distribuito in padiglioni uniti da un grande giardino percorso da sentieri cementati che permettono la percorrenza anche a sedie a rotelle e barelle, in caso di bisogno.

I lampioni disposti a distanze regolari segnano il suo volto con un gioco di luci ed ombre, dandogli un'aria forse più stanca di quella che è in effetti. Balle, è stanco e stufo marcio di certe cose. Non ne può più di mitomani, di pazzi scatenati e di gente che prende il suo giornale per la vetrina di turno. Ma perchè non scrivono direttamente alla polizia e la fanno finita? Tanto tutti vogliono essere presi, no? Sta sproloquiando, nella sua mente, se ne rende conto, ma non fa nulla per fermarsi.

Ci pensa qualcun altro.

" Sebastian?"

Ci mette un paio di passi, prima di fermarsi, il giornalista. Il tempo di girarsi e trovarsi a fronteggiare Jamye, Jamye Sullivan. L'espressione sorridente della Direttrice Sanitaria del'ospedale fa da degno contraltare al volto sbattuto di Sebastian

Sebastian: Oh, Jamye...

Lei sorride ed è un sorriso discreto che potrebbe sciogliere un ghiacciaio millenario. La Succube è ciò che è e non può essere diversa da tutto questo. Un semplice sorriso diventa un'arma terrificante su di lei. Anche quando lei stessa non lo vuole o non si controlla.

Jamye: Ho ricevuto il tuo messaggio e ti ho aspettato. Mi sembri quasi sorpreso di vedermi.
Sebastian: No, no, scusami. E' che sono quasi diciotto ore ininterrotte di veglia tra lavoro e tutto e penso di iniziare a perdere qualche colpo.
Jamye: Povero caro. Quello che non ho capito è perchè fosse necessario vederci con questa urgenza.

Sebastian apre il tascapane e inizia a rovistare tra le cartelle gialle che tengono separati tutti i suoi appunti per singolo articolo. Mentre lo fa, gli sfugge una domanda a bruciapelo.

Sebastian: Mi stupisco io del fatto che tu sia qui a quest'ora. Da quando sei Direttore Sanitario non dovresti avere del tempo libero? Delegare qualche occupazione?
Jamye: Sai che ci tengo al mio lavoro. Mi stai facendo una intervista non autorizzata?

Il tono della Succube è insinuante e per qualche istante Sebastian sembra vagamente inebettito. La creatura soprannaturale sta forse usando uno dei suoi poteri su di lui? Uhm, difficile dirlo, dato che il potere dei Succubi è così impalpabile, aleatorio... da apparire naturale.

Sebastian: Uh, no, ci mancherebbe. Jamye, sei tu, lo sai che non mi permetterei mai.

La mano della Succube si avvicina e accarezza quel volto stanco.

Jamye: Tu hai bisogno di riposare, mio caro.

Sebastian quasi si sente svenire. Deve avere ragione lei... se solo si rendesse conto dei poteri della Succube, la penserebbe diversamente. Eppure, lei è così... sensualmente insinuante.

Sebastian: Dopo. Cosa sai dirmi di alcuni brutali assassini avvenuti recentemente? Ecco i casi.

Passa a Jamye tre cartelline gialle e lei le apre. Sa esattamente di sta parlando, dato che l'anatomopatologo che collabora con la Miami Dade Police Departement l'ha informata di tutto. La sua espressione resta imperturbabile, mentre legge le note dei giornalisti che hanno raccolto le info, ritrovando parziali riproduzioni delle cartelle cliniche, più gli appunti segnati da Sebastian.

Jamye: Dovrei controllare, Sebastian. Mi passa sotto il naso talmente tanta roba...
Sebastian: Ovvio, ci mancherebbe. Ma potresti controllare? Quanto prima?
Jamye: Sai che non dovrei...

Sebastian estrae la lettera, dal tascapane e gliela porge.

Sebastian: Leggi questa. Io temo che non sia un mitomane.

Jamye legge la lettera al direttore, una, due volte. Poi ancora una, per essere sicura di aver capito.

Jamye: Sei convinto che sia tutto vero?
Sebastian: Non so cosa pensare. Ormai distinguo quelli che millantano e poi non fanno niente dai veri assassini. Ho una brutta, brutta sensazione. Puoi controllare quelle cartelle, per favore?

In quel momento, il cellulare di Sebastian vibra tre volte, poi squilla. Il Direttore armeggia un po' in difficoltà a causa del tascapane e delle pratiche che trattiene in mano. Ma alla fine risponde.

Sebastian: Pronto?
Voce: Direttore... sei prevedibile come tutti.
Sebastian: Chi parla?
Voce: L'unica cosa che mi chiedo è... perchè questa donna?

Lo sguardo di Sebastian cerca gli occhi di Jamye, che scuote brevemente la testa, con espressione interrogativa. Rapido come solo un giornalista sa fare, estrae una penna a scatto, la apre e scrive su una delle cartelline " E' LUI!".

Voce: Direttore?
Sebastian: Sì, sono qui.
Voce: Pessima idea condividere queste informazioni. E anche questa telefonata. Le farò avere mie notizie.

CLICK!

La comunicazione si interrompe e Sebastian resta a guardare quasi inebettito lo smartphone che a un certo punto si spegne con il salvaschermo nero. Deglutisce, un paio di volte, a vuoto.
Poi solleva lo sguardo su Jamye.

Sebastian: Mi sa che ti ho messo nei guai. Accidenti alla mia testa.
Jamye: Lui... quello del messaggio che mi hai fatto leggere?

Sebastian si guarda attorno, nel buio della notte illuminato dai lampioncini. C'è un sacco di gente... e molti parlano al cellulare. Sebastian annuisce con espressione preoccupata.

Sebastian: Lui, dannazione. E ora... sa che anche tu sai.

Jamye si guarda attorno a sua volta. La sua natura soprannaturale la mette al sicuro dal grosso dei problemi che i comuni mortali devono affrontare. Ma questo non le toglie una certa inquietudine.
Un pericolo sconosciuto... è sempre un pericolo.

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DISCLAIMER DELL'AUTORE

La presente fanfiction è liberamente ispirata all'ambientazione di gioco online Shadow of Miami.


I personaggi citati nella fanfiction sono liberamente interpretati da parte dell'Autore in base alle note scritte sulle sezioni Storia e Affetti riportate nelle rispettive Schede del Personaggio.
Gli eventi descritti nella fanfiction non hanno alcuna attinenza con il gioco ON attualmente in corso nè avranno effetti di alcun genere nella medesima misura.
Tale fanfiction è da considerarsi come un puro omaggio alla land, a coloro che la amministrano e a coloro che la giocano.